Lettera di Adriano Celentano il 5 Ottobre 1998, qualche giorno dopo la morte di Battisti.

Un pranzo, una lunga chiacchierata l'ultimo incontro tra due leggende della musica. E tanto rimpianto per i progetti che potevano nascere "Avevi negli occhi la nostalgia di chi non ha piu' bisogno del successo, perche' ne ha avuto tanto, troppo, e non sa piu' cosa farsene" "La prima volta che ti ho visto tu non facevi niente per smorzare la valanga di elogi che Mogol ti riversava addosso. Piu' tardi capii che quello era il tuo modo di fare e anche per questo eri simpatico La rottura del vostro rapporto ancora oggi e' la cosa che piu' mi stupisce" Quel giorno, era un pomeriggio d'estate, quando tu e Grazia avete incontrato Claudia al mercato di Lecco. "Indovina chi ho visto - mi disse la sposa, raggiante di gioia - Lucio Battisti e Grazia!". "Ma va?!... E lui cosa diceva?". "Ci siamo abbracciati, parlavamo cosi' ad alta voce che tutta la gente del mercato era attorno a noi, sembrava la festa del paese... ammazza, diceva lui: siamo a due passi l'uno dall'altro e non ci vediamo mai". "Ma gli hai detto di venire qui?". "Secondo te, dopo tanti anni che non vedo Lucio, io che conosco tutte le sue canzoni a memoria, lo incontro al mercato e non gli dico di venire qui?...". "Non sarebbe una novita', magari ti sei dimenticata la sua canzone piu' importante...". " + piu' facile che dimentichi una delle tue di canzoni...". "Allora vengono?!?". "Domani saranno a pranzo da noi". Corsi subito fuori in giardino a chiamare Vittorio, il mio contadino fedele, per dirgli di tagliare l'erba. "Ma l'ho appena tagliata", mi disse lui. "Fa niente, tagliala un'altra volta". Non c'e' cosa peggiore che lo fa irritare come quando gli dici di rifare un lavoro che ha appena fatto. Per lui e' come scalare il K2. "Anche l'altra volta - si lamentava - quando venne Mina mi ha fatto tagliare l'erba due volte". "Sempre, guando arrivano i forti - risposi - bisogna tagliare l'erba due volte". Sebbene abituato a questo tipo di dialogo rimase un po' perplesso: "Non che voglia entrare nelle sue cose private - mi disse con un filo di sarcasmo - e' solo per sapermi regolare: ce ne sono ancora tanti?" "Di cosa?". "Di forti". "No, siamo solo in tre". "In tutt'Italia, immagino". "In tutt'Europa". Quell'affermazione, da parte mia, in modo cosi' deciso, gli aveva fatto ritornare il sorriso sulle labbra. Per lui non era tanto importante il fatto che tu, Mina e io fossimo i piu' forti, quanto, invece, il fatto che fossi io a crederlo; questo lo tranquillizzava sapendo poi che l'ordine di tagliare l'erba due volte nello stesso giorno valeva solo per tre persone. La mattina seguente la giornata era splendida, il prato sembrava un biliardo e tutto era in ordine per la tua entrata. Ci fu un grande abbraccio e la stretta, ricordo, fu abbastanza forte. Erano passati 25 anni dall'ultima volta che ci eravamo visti. Tu non eri ancora nessuno e venisti con Mogol a casa mia a Milano. "Ti presento un ragazzo di cui fra non molto sentirai parlare - mi disse Mogol con la sua solita aria ultra esuberante quando e' convinto di una cosa -. E' un autore straordinario e insieme abbiamo fatto una canzone per te da un milione di copie". Devo dire che quando ti vidi la prima volta non mi piacevi tanto. Forse perche' mentre Mogol ti esaltava, io ti guardavo e tu non facevi niente per smorzare la valanga di elogi che lui riversava su di te. Piu' tardi poi capii che quello era il tuo modo di fare e anche per questo eri simpatico. La canzone era "Per una lira". Ti dissi francamente che non mi piaceva. Allora Mogol cercava con tutte le sue forze di far leva sul testo, e noi lo sappiamo come si trasforma quando e' seriamente convinto di una cosa: piano, piano, spalancava gli occhi come un animale di fronte alla sua preda e si avvicinava, si avvicinava mentre, la sua bocca a due centimetri dalla mia, si muoveva come un polipo parlandomi ovunque, negli occhi, sui capelli, recitandomi il testo nelle orecchie, nei buchi del naso, sussurrandomelo come se volesse ipnotizzarmi: "Ti rendi conto che quest'uomo per una lira vende tutti i sogni suoi - mi diceva - e per una lira ci mette dentro anche lei". "E infatti mi sembra poco", obbiettai, e qui per la prima volta, ti vidi ridere. Fu cosi' accattivante la tua risata che quasi mi dispiaceva doverti dire di no, ma fui fermo nella decisione anche con Mogol, pur ammettendo la validita' del testo. Ma adesso era diverso. Adesso, per dire circa quattro anni fa. + stata l'ultima volta che ci siamo visti. Sebbene un po' ingrassato, anche il mio contadino quando ti vide rimase affascinato e fu contento d'aver tagliato l'erba due volte nello stesso giorno. Dopo un breve giro per il prato, tu, io, Grazia, tuo figlio e Claudia ci sedemmo attorno a un tavolo, dove di tanto in tanto una folata di vento caldo stimolava i nostri discorsi, che durarono dalle 11 del mattino fino alle due di notte. Tante sono le cose che abbiamo detto, spaziando a ruota libera sulla vita, sui caratteri della gente, ma soprattutto sul carattere di quel nostro mondo, fatto di cantanti, attori, case discografiche, cinema, televisione e avvocati. Una strana schermaglia la nostra, dove emergeva chiaramente la voglia di criticare, senza pero' fare i nomi. In modo che ognuno di noi, in caso di litigio, avesse un alibi e potesse dire: "No, io non mi riferivo ne' a Venditti e neanche a De Gregori" (si fa per dire). Ma spesso le parole, anche se il piu' delle volte erano solo dei frammenti, cadevano su un personaggio di cui non si poteva non fare il nome: Mogol. Come tutti, credo, la rottura di un'amicizia, di un fidanzamento o di un matrimonio e' la cosa che piu' mi stupisce. Perche'? Due s'incontrano, girano tutta l'Italia a cavallo, si costruiscono la casa nello stesso posto, sfornano un successo dopo l'altro toccando il cuore di tre generazioni, e a una data ora di un certo giorno, tutto questo finisce. "Perche'?". La risposta praticamente non c'e' stata. Eppure tu parlasti molto. Piu' che altro parlasti per non farmi capire o forse per dirmi che la colpa non va ricercata dentro la persona di Mogol o di Lucio Battisti, ma nell'uomo in generale, che fin dalla nascita si porta dentro questo desiderio assurdo di voler dimostrare che lui non ha bisogno di nessuno e che puo' andare avanti benissimo da solo. "Se e' vero - mi dicesti - che le vendite dei miei dischi sono calate dopo la nostra separazione, e' altrettanto vero che anche lui, da quel giorno, ha smesso di brillare". Queste parole caddero come piombo sul tavolo, diffondendo nell'aria uno strano silenzio, pieno di immagini e di ricordi. Notai nei tuoi occhi un senso di nostalgia che e' tipica di chi non ha piu' bisogno del successo, perche' tanto ne ha avuto, forse troppo, e chissa' quanto ne avra' ancora ma non sa cosa farsene, perche' cio' di cui ha bisogno e' solo la compagnia di un amico. Quell'amico che, forse, e' ancora lo stesso che ha saputo dare alle tue magiche note tanto sentimento, ed eravate come una sola anima, dove tu eri la musica e Mogol la poesia. Con calma prendesti la bottiglia del vino e te ne versasti un bicchiere... e poi abbozzando un mezzo sorriso mi guardasti come se toccasse a me rompere il silenzio... "E allora? - ti dissi quasi ridendo -. Cosa si fa?". "Io dico che dovremmo vederci di piu' - mi dicesti -... per fare qualcosa insieme, non necessariamente per il pubblico, ma per divertirci noi...". "Sono d'accordo. L'unico rischio e' che se ci divertiamo troppo poi facciamo anche successo". Cominciammo a ridere e scherzare con Claudia e Grazia, mentre i racconti si susseguirono fino a tarda sera, e probabilmente anche per questo ridere e scherzare forse, avevo sottovalutato il tuo stato d'animo. Tre giorni dopo, tu mi telefonasti dicendomi che eri di passaggio a Molteno e che se volevo saresti venuto volentieri a Galbiate per fare quattro chiacchiere. Quel giorno avevo un appuntamento a Milano e per una serie di sfortunate coincidenze mi dimenticai, come eravamo rimasti d'accordo, di richiamarti. Il giorno dopo telefonai a casa tua, ma non rispondeva nessuno. Erano passati tanti giorni ormai, settimane, ed ero consapevole di non essermi comportato bene. Ma confidavo sul fatto che quando ci saremmo rivisti avrei ammesso la mia stronzaggine chiedendoti scusa e poi, sulla simpatia che nutrivi per me. Un giorno telefonai a Mina dicendole che mi era venuta un'idea storica. "E qual e'?", disse lei. "Un disco veramente rotondo... tu, io e Battisti. Ho pensato anche al titolo: "H2O", naturalmente tu saresti l'acca... cosa ne pensi?". " + una formula perfetta - disse lei - se riesce avremo da bere per parecchi mesi. Quando si comincia?". "Telefono a Battisti e veniamo subito a casa tua cosi' parliamo di tutto". Da quel momento ho cominciato a cercarti ovunque, lasciando messaggi dappertutto ma tu eri sparito. Neanche la Sony sapeva dov'eri. Finalmente dopo 20 giorni riesco a parlarti, e al telefono mi resi conto che quel giorno a Galbiate l'avevo fatta grossa. Per quanto fosse forte e divertente l'idea di fare un disco in tre, non era abbastanza per colmare l'amarezza che ti avevo procurato. Il tono della tua voce era freddo, benche' io cercassi in tutti i modi di riscaldarlo, per quanto fosse possibile al telefono da Londra a Roma, ma non c'e' stato niente da fare. Piu' parlavo e piu' mi rendevo conto di non essere credibile: le mie scuse, purtroppo, risultavano mischiate a una richiesta di lavoro e quindi non del tutto disinteressate. "L'idea e' bella - mi dicesti - ma ci devo pensare... purtroppo ho altre cose da fare e poi devo un po' riordinare le mie idee". "... Capisco ... comunque io non ti telefonero' piu'... qualora decidessi di dare il via a questo progetto che mi sembra importante come regalo da fare al tuo fan, a quello di Mina e ai miei due fans, sappi che io e Mina siamo pronti". "Perche' tu due?". "Perche' io ho avuto l'idea". Per un attimo, il gelo che ci separava, lo sentii infrangersi sotto il peso di una debole risata che non riuscisti a trattenere e che mi faceva sperare in una tua telefonata. Ma avevo dimenticato che eravamo sulla terra. E qui si ragiona in modo diverso da quei "Luoghi" dove ti trovi adesso. Da "Li", dove sei tu, tutto e' piu' chiaro. Le cose vengono viste con un'ottica diversa. L'ottica della purezza, il cui punto di vista e' unico e al tempo stesso universale. Ma qui no. Qui non c'era piu' spazio per una telefonata, l'orgoglio ormai, non solo tuo ma anche mio, aveva occupato tutti gli spazi possibili della "comprensione". Forte del fatto che dovevi essere tu a darmi una risposta, io non ti telefonai piu'. Non l'ho detto, ma senz'altro devo aver pensato che essendo "qualcuno", non potevo abbassarmi piu' di tanto. Senza pensare invece che sarei stato veramente qualcuno, se t'avessi fatto una seconda e anche una terza telefonata. Ma qui, dove tu ci hai lasciati, non si poteva. La nube dell'orgoglio e dell'indifferenza si dissolve solo quando un amico scompare. Meno male, pero', che tu non sei scomparso! Hai lasciato qui soltanto la fase ultima del tuo corpo, un po' malandato. Ma adesso dove sei tu, puoi scegliere. Puoi riprenderti il corpo che piu' ti aggrada negli anni migliori della tua giovinezza: quando cantavi "Giardini di Marzo", per esempio; e lo puoi modificare se qualcosa non ti andava. O di quand'eri bambino o di quando saresti diventato vecchio. Per la legge che niente si distrugge, tutto cio' che il tuo corpo materiale ha vissuto rimarra' intatto per sempre, in ogni sua fase, fin da quand'eri nel ventre di tua madre. E "Li", nei fantastici paesaggi dell'Universo, potrai sentirti contemporaneamente bambino, adolescente, giovane e adulto. Poiche' non ci si puo' dimenticare che ogni essere, per il solo fatto di essere, e' UNO, e' VERO, e' BUONO ed e' BELLO; sono questi i quattro grandi valori classici. E tu, adesso, hai conosciuto e avuto la conferma del quinto valore: ogni essere e' ETERNO. Dalla terra con amore!

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