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 Lui 
Fofò Buonocore, maestro nella vita e nello sport

È  stato uno dei maestri di nuoto di Lorenzo Testa di 
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Tratto dal giornale Roma.net Mer 28 Marzo 2018 20:29 

Alfonso Maria Buonocore (nella vita), Fofò per tutti, è un noto e stimato commercialista. Sportivamente è nato e cresciuto al Circolo Canottieri Napoli e con i colori giallorosso è diventato campione d’Italia di nuoto e pallanuoto e ha partecipato a due Olimpiadi. Socio benemerito del sodalizio del Molosiglio, è stato consigliere al nuoto e pallannuoto ed è tuttora presidente del Collegio dei revisori. È stella d’argento al merito sportivo del Coni. “Galeotta la pallanuoto…” ha sposato una sua supertifosa, Lia de Giorgio. Hanno due figli, Francesca e Fabrizio, che hanno regalato loro tre nipotini: Luca, Laura e Beatrice.
«Sono nato a via De Pretis, ma sono posillipino d’adozione. Durante un bombardamento stavamo morendo tutti sotto le macerie del sottoscala del palazzo dove ci eravamo rifugiati. Mio padre allora decise di trasferire tutta la famiglia a Posillipo, presso i nostri parenti a villa Martinelli. Nello splendido mare su cui si affaccia la storica struttura ho fatto le prime bracciate».
Ci racconti... 
«Io e i miei amichetti conoscemmo un signore che amava il mare e ci impartì i primi insegnamenti di nuoto. Lo chiamavamo il “maestro”. Andavo sempre con il carissimo Enzo Fusco. Un giorno fummo notati da alcuni tecnici del Circolo Canottieri Napoli che dissero ai nostri genitori che avrebbero avuto piacere se fossimo andati ad allenarci da loro perché eravamo bravi».
Ebbe inizio la sua splendida avventura in casa Canottieri... 
«Fui accolto come uno di famiglia e questo mi aiutò molto perché da poco avevo perduto papà. Ci allenavamo nello specchio d’acqua antistante il piazzale del circolo e poi ci allungavamo sul lato destro dell’attuale sede della Lega Navale. Io nuotavo a stile libero, Enzo Fusco invece era ranista. Da adulto diventò, poi, un pluridecorato allenatore federale di nuoto».
E la scuola? 
«Andavo all’Istituto Denza, all’inizio della discesa Coroglio. Il preside, padre Bianco, era un caro amico di famiglia».
Villa Martinelli, Denza, Molosiglio e ritorno. Un percorso quotidiano che richiedeva un grandissimo impegno... 
«Era veramente faticoso anche perché non c’erano i mezzi di trasporto che ci sono oggi. Ma la passione e l’entusiasmo erano talmente grandi che ci facevano superare ogni difficoltà. Ci allenavamo guidati dal professore Paolo Iodice con ogni condizione climatica e anche quando l’acqua del mare era veramente fredda. Siamo stati i primi a introdurre nel nuoto la preparazione atletica. Prima di entrare in piscina facevamo palestra, esercizi a corpo libero e corsa nel piazzale del circolo».
Quando è iniziata la sua attività agonistica? 
«Molto presto. A tredici anni già facevo parte della nazionale giovanile. Poiché a Napoli non c’erano piscine coperte andavamo a nuotare negli impianti dell’Italia settentrionale, soprattutto a Milano, sede a quei tempi della Federazione, e a Torino dove ho vissuto per oltre un anno a spese della Fin».
Sono gli anni in cui ha conosciuto Carlo Pedersoli... 
«Carlo non abitava a Napoli perché la famiglia, dopo un periodo vissuto all’estero, rientrata in Italia, si era stabilita a Roma. Ci incontravamo sul treno quando andavamo a fare le gare. Lui nuotava con i colori della Canottieri Lazio. Fin da giovanissimo, aveva qualche anno più di me, dimostrava talento nello sport ed emanava un grande fascino. Ci siamo battuti varie volte e il bilancio alla fine pende a suo favore. Era fortissimo».
Siete stati i primi a fare i 100 stile libero in un minuto... 
«Era il 1950 e a giugno, al Molosiglio, si tenne l’incontro internazionale Italia-Austria. Si gareggiava di fronte al piazzale dove c’era una struttura in legno completamente attrezzata, spogliatoi inclusi, di proprietà del circolo. La piscina era di legno con l’acqua di mare. Per assistere alle gare si doveva pagare e io mi mettevo all’ingresso per fare entrare gratis i figli dei dipendenti che erano tutti miei amici. Feci i 100 stile libero in un minuto esatto. Carlo mi superò dopo tre mesi arrivando sotto i sessanta secondi. Siamo rimasti amici anche quando ha lasciato lo sport per la carriera cinematografica nei panni di Bud Spencer. L’ho rivisto a Napoli quando il sindaco gli consegnò una medaglia per la sua carriera, qualche anno prima che morisse. Mi abbracciò con grande affetto ».
Nel 1952, a soli 19 anni, la sua prima Olimpiade... 
«A Helsinki, in Finlandia. C’erano anche Carlo Pedersoli e Costantino Dennerlein, per tutti Bubi. Quando atterrammo all’aeroporto trovammo tante finlandesine che erano venute ad accoglierci. Con una di loro mi “fidanzai” e successivamente venne a trovarmi a Napoli. Era un ragazza bellissima. Durante le gare mi feci fotografare con una giovane giapponesina a bordo piscina e quella foto ebbe un successo “mondiale”».
Al suo rientro a Napoli trovò i fratelli Bubi e Friz Dennerlein in “giallorosso”... 
«Bubi lo avevo già incontrato alle Olimpiadi. Erano approdati alla Canottieri e con loro diventammo ancora più forti. Bubi era nuotatore e pallanuotista, mentre Friz nuotava a farfalla».
A un certo punto lei decise di passare alla pallanuoto. Perché? 
«Come allenatore della squadra era venuto un ungherese il quale decise che nella pallanuoto non occorrevano soltanto giocatori forti ma anche veloci. Per questo volle inserire dei nuotatori nel gruppo. Chiamò me e Friz Dennerlein e ci propose di fare parte della squadra. Accettai, mentre Fritz rimase nuotatore ».
Lasciò subito il nuoto? 
«No, continuai ancora per poco tempo ma ridussi al minimo la partecipazioni a gare. Oltretutto lo studio diventava sempre più impegnativo e conciliarlo con gli allenamenti era ancora più faticoso e difficile, ma la voglia e l’entusiasmo erano sempre molto forti e presenti».
Nel 1956 la seconda Olimpiade, questa volta come pallanuotista... 
«A Melbourne, in Australia. In quella occasione ho fatto il primo viaggio in aereo di notte perché fino ad allora si viaggiava solamente di giorno. Fu un’emozione fortissima. Ricordo che mentre scendevo dall’aereo sentii chiamarmi “Fofò”. Girai lo sguardo verso quella voce e vidi un amico di Posillipo che era scappato dall’Italia e si era trasferito in Australia. Anche all’aeroporto di Melbourne fummo accolti da tante ragazze. A quei tempi la pallanuoto e il nuoto erano sport molto seguiti soprattutto dalle ragazze che erano attratte dai nostri fisici molto atletici. Prestavamo le nostre tute ai tifosi italiani per farli entrare gratis a vedere le partire».
Aveva 23 anni ed era alle soglie della laurea.. 
«Mancava poco e quando rientrai i colleghi universitari e qualche professore mi chiedevano di raccontare loro la mia esperienza olimpica australiana. La cosa mi riempiva di orgoglio anche perché, contro ogni previsione, eravamo arrivati quarti».
Poi la decisione più difficile e importante della sua vita... 
«La laurea mi chiamò a fare una scelta: continuare lo sport a livello agonistico oppure avviarmi alla libera professione come dottore commercialista. Optai per questa seconda ipotesi. D’altra parte non potevo non mettere a frutto gli enormi sacrifici che avevo affrontato per studiare. Ero perfettamente consapevole che lo sport da solo non avrebbe mai potuto garantirmi un futuro economicamente sufficiente per vivere dignitosamente e mettere su famiglia».
Questa decisione le costò una grande rinuncia? 
«La preparazione per le Olimpiadi di Roma e la conseguente partecipazione. Non potevo assolutamente sostenere gli allenamenti per un evento così impegnativo dove bisognava dare il massimo. Oltretutto venivo da due esperienze olimpiche e conoscevo benissimo quale era il lavoro fisico e psicologico che bisognava fare per arrivare ai Giochi al top. Persi la medaglia d’oro ed è il rimpianto più grande che ho».
Ma non fu solo lei. Come si dice, “mal comune mezzo gaudio”? 
«Magra consolazione. Anche Friz perse in corsa quello splendido e insostituibile treno perché aveva rinunciato alla pallanuoto a favore del nuoto. Ricordo che il dirigente della nazionale, l’ingegnere Percuoco che era napoletano, si dispiacque moltissimo di non aver potuto vedere due napoletani salire sul gradino più alto del podio olimpionico».
Che cosa fece dopo le Olimpiadi? 
«Ho continuato ancora l’attività agonistica però, con il consenso e l’autorizzazione della dirigenza della Canottieri, passai al Posillipo perché gli impegni della squadra rossoverde erano meno faticosi e, quindi, li potevo conciliare con la libera professione. Ho contribuito a portare la squadra dalla serie C alla serie A. Ho smesso di fare agonismo a metà anni Sessanta».
Da quel momento anima e corpo nella professione. Dove ha iniziato? 
«Allo studio De Filippo e poi a quello del dottore Manganiello, in via De Pretis, dove ho avuto l’opportunità di fare nascere la consulenza in materia tributaria, la mia specializzazione, che non esisteva. Lì ho fatto anche scuola e ho formato altri esperti in diritto tributario».
Quando si è messo “in proprio”? 
«Nel momento in cui mi sentii in grado di potere andare avanti da solo. Non ho mai forzato i tempi e sono sempre stato con i piedi per terra. Anche in questo lo sport mi ha dato un aiuto fondamentale. Ho affrontato la libera professione con la stessa mentalità con cui scendevo in vasca ogni volta per competere e tendere alla vittoria. Onestà, lealtà, umiltà e consapevolezza delle mie forze sono stati e sono i miei principi inderogabili. Il mio primo avversario da battere ero io stesso e quindi dovevo conoscermi nei minimi particolari».
La sua soddisfazione più grande? 
«Rivedermi in mio figlio Fabrizio. Ha fatto e fa il mio stesso percorso nello sport e nella professione. Ha partecipato a due Olimpiadi ed è il capitano della squadra di pallanuoto della Canottieri. È un bravo commercialista che sta portando avanti lo studio ispirandosi perfettamente ai miei principi e sta ottenedo risultati di tutto riguardo».
Da pochi giorni ha compiuto 85 anni e continua a nuotare in piscina e a fare il “cimento invernale” a mare. Qual è il suo segreto? 
«Quando mi tuffo in acqua sento il piacere di continuare a vivere ».  

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